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4 novembre 2011. Diario di una tregenda.

Che questa lacrima di fango Versata ancora sui tuoi provati figli Ora supini ma dalle forti braccia Possa essere l ultima umiliazione Superbi impauriti ma pronti ancora A dire finalmente basta A quella orribile risposta A quell'eterna assenza Di questa terra che Chiamarti madre a un certo punto costa.


Quando e' scritto che devi portare a casa la pelle e' scritto indelebile in qualche libro universale e ce la porti. Punto e basta. Il viaggio (perchè 2 km possono a volte essere un viaggio) dal lavoro a casa è stato di quelli che difficilmente scorderò. Non ho  mai fatto rafting (tanto meno in salita e in auto) , mentre salivo, le ondate di acqua marrone che mi si scagliavano contro mi facevano aumentare i battiti e i brutti pensieri. Ogni curva era un nuovo livello di un videogame dove magicamente l'auto possedeva una sola marcia, la prima e a malapena procedeva tra schiaffi di onde e cascate d'acqua. A un certo punto a metà di via Robino, ho pensato che fosse meglio abbandonare l'auto dove capitava ma intanto continuavo a salire. I pensieri di una tragedia incombente salivano con me e l'istinto mi faceva slacciare la cintura per essere pronto all'eventuale fuga d'emergenza. La praticabilità della strada però migliorava ma l'ansia no, quella restava a livelli di attenzione massima perchè da un attimo all'altro mi vedevo ribaltato e zuppo. Giunto a casa la situazione presentava un cortile con l'acqua fino alle ginocchia ma ormai era fatta. Giulia era però ancora a scuola e avrei dovuto recuperarla dopo un'oretta. Nel pomeriggio la decisione di riscendere a valle in compagnia del mio coraggioso padre che indolente se ne fumava due. Lo spettracolo (volutamente) di corso Sardegna era da apocalisse: negozi allagati, milioni di danni ma tanta gente era già con la scopa e la pala in mano. Arrivati davanti all' officina il cancello era sbarrato da rami, assi e detriti, un'agenda e una borsa come quelle da dottore. Il cancello non si apre. Torno agile ventenne e scavalco sparato. Le serrande elettriche non rispondono. Non c'e' corrente elettrica. Entro dal retro e capisco che e' finita. Tre anni di lavori e trasformazioni spariti sotto una sottile e beffarda lingua di fango ma non riesco a disperarmi. Esco in cortile e a mio padre mostro il pollice in giù. Non sapevo si fosse portato la maschera. Non tradisce emozioni. Prendo una pinza e stacco il braccio elettrico del cancello. Apro e senza aver visto ancora mi dice " non e' niente, ce la facciamo"e mi abbraccia. Due lacrime, lo abbraccio. Il megafono annuncia un'altra esondazione. Sembra guerra, fuggiamo ma siamo già a metà dell'opera...

4 novembre 2011


Corso Sardegna con tanti posteggi liberi sembra un sorriso senza denti...


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