Separarsi non e' una malattia contagiosa ma la fine di un percorso che non era dato proseguire. Spesso invece scorrono parole disordinate nei discorsi condite da giudizi e pensieri che liquidano una separazione con un quadro generale di comodo: “non c’e’ più volontà di sacrificarsi, ognuno pensa a se stesso, i figli? Dovevano aspettare e altre comode e frettolose amenità del genere. Ricordo che quando ero ragazzo negli anni ottanta il termine “separazione” era quasi tabù alla stessa stregua della parola “sesso”. L’ aura che avvolgeva i rari racconti sulle coppie che si “dividevano” aleggiava col gelido mantello, tetro e pauroso quasi a significare la cattiveria che presumibilmente albergava nelle persone che erano incappate in tale inaccettabile sventura. I figli erano dei diversi e facilmente venivano raffigurati nelle menti quasi orfani abbandonati e destinati a una sorte triste e avversa per tutti gli anni a venire. Di certo mancavano strumenti personali e supporti psicologici adeguati perché la materia era appena ai suoi albori.
I tempi sono cambiati. Stravolti. Questo però non significa che nella separazione ci sia godimento e masochismo. Sicuramente ci sono dei fattori che andrebbero passati sotto occhi e cuore ben più attenti a partire dall’amore vero, dalla capacità imprescindibile di volere il bene dell’altro in ogni circostanza anche in quella estrema di lasciarlo andare altrove a un certo punto del percorso assieme.
Perché allora questo accanito e greve giudizio? Perché non accettare che l’anima, così spesso e frettolosamente accantonata in un angolo, così poco considerata e protetta in questo tempo del fare compulsivo e superficiale sia in grado e abbia finalmente il coraggio e la consapevolezza che si può commettere un errore e che è giusto e dovuto cercare la propria felicità altrove? Ancora c’e’ chi considera le famiglie tradizionali come normali. Ma cosa significa normale? Che stanno assieme? Unite, poi ? Credo che allora il termine meglio calzante sia “felici”. Ecco, invece che coppie separate o meno bisognerebbe denominarle felici o infelici: penso che questo sarebbe un buon modo per rendere merito almeno alla voglia e alla ricerca di rispetto verso se stessi e all’indirizzo anche dell’altro che avrà la possibilità di ricostruirsi una vita con un’anima che meglio si sposi finalmente con la sua.
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