La barca della famiglia rinnovata procede lenta ma spedita nella sua traversata e, un pò logora almeno da ridipingere, imbarca naturalmente acqua. Gli stracci per asciugarla scarseggiano e non bastano e allora si passa ai secchi: tantissima ne entra, tanta ne esce. Un pò resta. Rimane li e ci si bagnano i piedi. Ristagna e diventa torbida dall'odore acre e fastidioso in ogni centimetro di cui è padrona. Sul ponte di comando si guarda a dritta ma non basta tenere stretto il timone quando l'altezza tra il ponte e il mare non è più la stessa. L'equipaggio freme, i piccoli marinai sono cresciuti e con la testa toccano il soffitto della stiva, come allargano le braccia si scontrano e i movimenti sono faticosi e ingombranti. I due comandanti non sanno più bene cosa fare. Gli ordini non servono più e il malumore crea i presupposti per un ammutinamento. In alcuni porti ci sono navi più grandi ma i marinai restano con noi, nonostante tutto. Ieri notte ho avuto un incubo: uno di loro risaliva dal mare sotto forma di mostro . Sapevo che era lui ma aveva altri tratti ed era grandissimo e pauroso. Lanciava dardi di collera che mi colpivano ma non mi affondavano perchè da buon capitano restavo diritto in piedi e la mia sagoma pur di piccolo uomo era più grande della sua ira. L'altro capitano stava li, lo vedevo impietrito come se appartenesse a un altro tempo. Forse non c'era.
Il mare sembrava piatto e il porto a poca distanza ma ora l'improvvisa burrasca ci risveglia distanti e disorientati quasi a dover ricominciare un nuovo viaggio con lo stesso equipaggio ma di marinai aspiranti comandanti e bisognosi di una loro nave su cui potere dal ponte più alto orientarsi con le loro magnifiche stelle, sperare nei loro immensi orizzonti.
E noi, piccoli comandanti oramai stanchi e sgualciti? La nostra isola, la nostra casetta, il nostro orticello finalmente sulla terra ferma guardando, mano sulla fronte, il mare.
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